martedì 27 maggio 2008

UBS, i subprime sempre al centro dell'attenzione



Di BlueTG.it

Senza fine. Così potrebbe titolare la colonna sonora di un film su UBS (Virt-X: UBSN.VX - notizie) , colosso bancario elvetico che non riesce a vedere la fine del tunnel subprime.

Dopo aver svalutato circa 37 miliardi di franchi svizzeri in titoli subprime, dopo avere praticamente azzerato tutta la governance del gruppo e dopo avere perso quasi il 50 della capitalizzazione di Borsa, la banca guidata da Marcel Rohemer, oggi ha di nuovo freddato i mercati con lo spauracchio di ulteriori perdite sul fronte subprime.

In occasione della presentazione del prospetto informativo sul prossimo aumento di capitale, la banca ha detto infatti che le perdite sul fronte dei titoli legati al mercato immobiliare statunitense (residenziale e non) potrebbero aumentare nel prossimo futuro.

Il documento, pubblicato lo scorso 23 maggio, getta così ulteriori ombre sulla solidità finanziaria di UBS che per la seconda volta in otto mesi ha dovuto ricorrere alla strada della ricapitalizzazione (la prima avvenne nell’ottobre del 2007 quando il Governo di Singapore e un anonimo investitore medio orientale investirono 11,7 miliardi di dollari nella banca).

La banca infatti presenta ancora un’esposizione di 45 miliardi di dollari verso il mercato immobiliare statunitense, di questi 8,6 miliardi relativi a investimenti levereggiati e altri 10,4 miliardi di dollari in prestiti d'onore agli studenti americani.

La banca però non ha voluto fornire aggiornamento circa l’esposizione verso mutui non statunitensi: l’ultimo aggiornamento infatti risale alla fine di marzo è segnava 8,9 miliardi di dollari.

Domani prende il via l’aumento di capitale che prevede la distribuzione di sette nuove azioni ogni venti possedute ad un prezzo di concambio di 21 franchi e per un esborso totale di 15,1 miliardi di franchi svizzeri.(mm)

mercoledì 21 maggio 2008

Siamo nel 2006 o nel 2506????

Di Alessandro Fugnoli



La fantascienza del futuro profondo prende di solito due strade. Semplificando molto, nella prima il futuro è ipertecnologico e gli uomini sono dematerializzati, eterei e intelligentissimi. L'altra strada esplora invece ipotesi di catastrofe, di collasso della civiltà e di ritorno a uno stato di natura hobbesiano. L'eventuale viaggiatore del tempo partito dal nostro presente (come del resto il lettore o lo spettatore) riconosce immediatamente il futuro come radicalmente diverso, nel bene o nelmale.
Il bello di Idiocracy, un film intelligente e divertente del 2006 scritto da Mike Judge e da uno dei fratelli Cohen, è che il viaggiatore del tempo, partito ai giorni nostri, ci mette alcuni minuti di film a capire che non ha fatto il viaggio sperimentale di 12 mesi per cui era stato ingaggiato, ma un salto di cinque secoli fino al 2506. L'effetto di straniamento è sottile, perché il 2506 è quasi uguale al 2006, salvo nel fatto che gli esseri umani sono tutti un po' più stupidi (il quoziente d'intelligenza è sceso a 50), per effetto del venir meno della selezione naturale, sconfitta nel ventesimo e ventunesimo secolo dai progressi sociali e da quelli della medicina.
Anche i mercati hanno viaggiato nel tempo e dopo la bufera si trovano non molto lontani da dove erano 12 mesi fa. Il peggio è passato, ci si continua a ripetere, i pericoli sono stati schivati e il mondo, alla fine, non è poi così diverso da come era prime della crisi. Ora si tratta solo di aspettare il completamento della convalescenza, il ritorno pieno della fiducia, il completamento della ricapitalizzazione delle banche, la fine della discesa del prezzo delle case e tutto tornerà al meglio. La recessione è finita (anzi non c'è mai stata e il primo trimestre 2008 in cui si è tanto parlato di 1929 risulterà, dopo le revisioni in corso, essere cresciuto a una velocità vicina al due per cento tanto negli Stati Uniti quanto in Germania). E' stato solo un temporale e si sa che dopo i temporali il cielo è particolarmente terso. Sarà così anche questa volta, anche se il recupero richiederà ancora un minimo di pazienza. Quanto al petrolio raddoppiato in dodici mesi, via, non è la prima volta che succede e ce la siamo sempre cavata.
Il questo spirito azionario e crediti sono ora alla loro ottava settimana di recupero. Tutto è ordinato e tranquillo. Gli sfollati (quelli che avevano abbandonato precipitosamente i mercati in gennaio e febbraio) rientrano gradualmente dai campi Bot in cui avevano trovato rifugio e ricostruiscono i loro portafogli. Ad aggiungere serenità contribuiscono la tranquillità dei cambi, con il dollaro che sembra avere trovato la terra promessa tra 1.50 e 1.60, e la fine degli interventi di policy sui tassi (che peraltro in Europa non erano nemmeno cominciati). Un'atmosfera da ricostuzione operosa.
Essendoci ancora molti sfollati che devono rientrare e non essendo i dati macro particolarmente negativi (anche se, paradossalmente, sono certamente peggiori rispetto a quelli del primo trimestre) la linea di minore resistenza per i mercati rimane quella del recupero anche per le prossime settimane, a condizione che sia lento.
Se dunque è bene, per chi è già rientrato, rimanere investiti, è altrettanto bene sapere che all'orizzonte non c'è solo il bel sole caldo della ripresa che sta sorgendo, ma anche un grosso pericolo. Il pericolo è che gli Stati Uniti non riescano a trovare una soluzione politica sulla questione della cosiddetta nazionalizzazione dei mutui (in pratca un'agenzia pubblica comprerebbe i mutui dalle banche a un prezzo scontato ma comunque superiore a quello che verrebbe realizzato dalle banche in caso di pignoramento e messa all'asta delle case, mentre i proprietari, vedendo ridotto il loror debito residuo, avrebbero interesse a continuare a servire il loro debito restando dove abitano). C'è uno scontro tra Congresso e Amministrazione. Lo scontro ha aspetti pratici (il costo dell'operazione, molto controverso) ma soprattutto ha un grande rilievo ideologico (la questione dell'azzardo morale e quella dell'introduzione di ulteriori elementi di socialismo nel capitalismo americano, come se non bastasse l'assicurazione sanitaria per tutti che si profila all'orizzonte).
La questione è molto complessa e coinvolge parecchi gruppi d'interesse. Non ultimo quelli che la casa non ce l'hanno ancora. Perché, chiedeva ieri un visitatore del blog di Roubini, voi democratici volete usare i soldi delle mie tasse per fare cessare la discesa del prezzo delle case quando io sto aspettando che scendano ancora per potermene comprare finalmente una? Sia come sia, per i mercati lo scenario migliore è che il pacchetto venga approvato il prima possibile, in ogni caso entro fine agosto. Il peggiore è che Bush mantenga il veto e che si riparli della questione da febbraio in avanti, con il nuovo Congresso e il nuovo presidente. Il più probabile, azzardiamo, è che la disputa si trascini ancora per qualche settimana e che Bush rinunci al veto in cambio di un pacchetto più piccolo. In questo caso il risultato netto, per i mercati, sarebbe comunque positivo. Non va però dimenticato che, se non si arrivasse a un accordo, le conseguenze sarebbero tali da provocare un ritorno al clima pesante di febbraio (sia pure senza panico).
C'è però un'altra questione da considerare, se non altro come ipotesi. Dicevamo che sul sole della ripresa si leva l'ombra del pacchetto sulle case. La questione più di fondo, più strutturale, è tuttavia che, come il viaggiatore del tempo di Idiocracy, può darsi che il viaggio di questi dodici mesi si riveli alla fine un salto di cinque secoli e che il sole che vediamo all'orizzonte sia il sole del 2508 che illumina un mondo sottilmente ma profondamente diverso da quello ancora piacevole di inizio 2007.
Le ragioni dello straniamento sono tre. La prima è nota ormai a tutti, ma non è metabolizzata. E' la riduzione strutturale della leva finanziaria. La leva di banche d'investimento, banche commerciali e fondi hedge si è ridotta nel corso della crisi ma non bisogna pensare che, a crisi finita, tornerà ai livelli di un anno fa. Risalira un poco, ovviamente, ma rimarrà definitivamente più bassa, e non di poco, rispetto ai tempi della felice innocenza. Definitivamente, in finanza, significa per qualche anno, ma in questo caso il fenomeno potrebbe protrarsi anche per uno o due decenni. La seconda ragione di straniamento è che, come scrive El Erian, alla riduzione della leva delle banche sta per affiancarsi la riduzione della leva del consumatore americano. Ci viene qui in mente un vecchio libro di Henry Kaufman del 1986 in cui si mostrava nella terza pagina di copertina un grafico impressionante sulla crescita inarrestabile del rapporto tra indebitamento e reddito nelle famiglie americane. Kaufman (un uomo serio e inteligente che aveva lavorato a .lungo alla Fed e che era diventato il guru pessimista dell'epoca, come oggi Marc Faber) definiva nsostenibile quel livello di indebitamento. Tanto insostenibile, in realtà, da avere continuato a salire per tutti gli anni Novanta e Duemila. Sì, si replicava, sale il debito ma scendono i tassi, per cui il cash flow non cambia. Oppure sì, sale il debito ma sale anche il valore degli asset (casa e azioni) per cui il rapporto debito-patrimonio non cresce (questo lo diceva sempre Greenspan). Ora però la sensazione di capolinea è molto diffusa e nessuno nella Fed si arrampica sui vetri per teorizzare un'ulteriore espandibilità dell'indebitamento, specie ora che il valore degli asset non sale più, mentre i tassi non sono più comprimibili. Certo, la montagna di debito non deve necessariamente crollare (nessuno se lo augura, anche perché la via veloce alla riduzione del debito, come è noto, è il default), ma non può assolutamente innalzarsi ancora verso il cielo.
Il terzo elemento di straniamento è che il mondo come lo conoscevamo, in fasi di rallentamento ciclico, vedeva scendere, non salire, il petrolio e le materie prime. Se c'erano shock da offerta duravano pochi mesi. Oggi allo shock da domanda si affianca uno shock da offerta strutturale (e sul petrolio, per qualcuno, terminale). La situazione non è necessariamente drammatica, ma è certamente molto seria.
In questo strano e non esaltante nuovo mondo c'è per fortuna un quarto elemento positivo, ovvero i paesi emergenti, intesi non solo come economie in sviluppo ma come compratori di asset finanziari e reali. La ricostituzione dello zoccolo di riserve classiche (quelle da tenere in titoli a basso rischio di pronto smobilizzo alla bisogna) è ormai terminata per tutti, in Asia come in America Latina o in Russia. Da qui in avanti tutti i dollari che arriveranno nelle loro casse (e saranno ancora tanti, perché il disavanzo americano delle partite correnti, per quanto in calo, rimane elevato) verranno subito reinvestiti in azioni, foreste, immobili, silos di grano o di petrolio.
E' ben possibile, nel nuovo mondo, che la riduzione della leva delle banche e dei consumatori americani sia bilanciata dalla domanda reale e finanziaria dei paesi emergenti. Questa manovra di bilanciameno è però, oggettivamente, straordinariamente complessa e delicata. La simultaneità, a tratti, può venire a mancare e creare dei vuoti d'aria tanto nei mercati quanto nell'economia reale. Il peggio è alle spalle, ma il nuovo mondo non è necessariamente molto ospitale.


da Il Rosso e Il Nero, settimanale di strategia. Alessandro Fugnoli è strategist di Abaxbank , Banca d'Investimento del Gruppo Credem (www.abaxbank.com).